Caso Chevron

Perché non si fermerà la mega truffa ambientalista contro la “perfida multinazionale” Chevron

Corte di appello Usa conferma: processo truccato in Ecuador contro l’impresa petrolifera. Ma il governo del socialista Correa continuerà a usare gli ambientalisti americani per ricattarla

Tempi - Kevin Glass 16/08/2016

Foto: Tempi

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Lunedì 8 agosto, a Manhattan, la Corte di appello del secondo distretto degli Stati Uniti ha confermato la sentenza emessa nel 2014 dal giudice di New York Lewis Kaplan che aveva ricostruito come il risarcimento megagalattico (19 miliardi di dollari, poi ridotti a 9,5) ottenuto tre anni prima in Ecuador nei confronti del colosso petrolifero americano Chevron da un gruppo di cittadini del paese sudamericano, capitanati dall’avvocato statunitense Steven Donziger e sostenuti da una moltitudine di organizzazioni ambientaliste, fosse stato in realtà frutto di una frode colossale, realizzata attraverso la corruzione di giudici e testimoni, manipolazioni di dati e una serie infinita di altre macchinazioni «che normalmente si vedono solo a Hollywood» (così il giudice Kaplan). Il Wall Street Journal la ribattezzò «la truffa giudiziaria del secolo». Tempi fu uno dei pochi giornali italiani, se non l’unico, a occuparsi del caso con un lungo servizio.


La sentenza del 2014 appena confermata in appello proibiva a Donziger e ai suoi clienti di far valere la sentenza ecuadoriana negli Stati Uniti (Chevron non ha più asset “aggredibili” in Ecuador da almeno vent’anni), ma ovviamente le persone che avevavo portato avanti per decenni questa battaglia legale, giocandosi vite e carriere nella speranza di incassare un bottino stellare, nel frattempo non hanno mollato l’osso. In questi anni la class action è proseguita, in America e non solo, con sviluppi e implicazioni ben riassunti dal commento di Kevin Glass che ripubblichiamo qui sotto in una nostra traduzione, per gentile concessione di The Federalist. Il titolo della versione originale in inglese è “I socialisti usano gli ambientalisti americani per ricattare le imprese Usa”, e l’articolo è scritto con tutto il trasporto che ci si può aspettare in un caso del genere da un giornale conservatore americano, tuttavia ci sembra sviscerare efficacemente alcune questioni fondamentali della vicenda.

Per completezza, ricordiamo solo ai nostri lettori qual è la posizione che l’azienda californiana ha mantenuto in tutti questi anni. Chevron non ha mai negato che l’area dell’Ecuador in cui vivono i ricorrenti sia stata inquinata dalle estrazioni petrolifere con gravi danni per l’ambiente e rischi per la salute degli abitanti: Chevron rifiuta solo di accettare che la colpa di tale inquinamento e di conseguenza i risarcimenti pretesi dagli «afectados» siano addebitati interamente alla “perfida multinazionale”, la quale anzi la sua fetta di bonifiche l’ha finanziata eccome, come ha riconosciuto anche un arbitrato internazionale all’Aja nel 2009. Il resto, secondo gli accordi pattuiti all’epoca delle trivellazioni, toccherebbe a Petroecuador, la compagnia energetica di Stato ecuadoriana. Il governo di Quito, però, sotto la guida del socialista chavista Rafael Correa, anziché adoperarsi per migliorare le condizioni di vita degli abitanti delle aree inquinate, ha preferito sposare la campagna degli ambientalisti contro l’impresa americana.

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